In studio di registrazione, come in home studio, registrare il synth potrebbe essere relativamente facile. Sia che si tratti di un suono sintetizzato analogico che di uno digitale, non ci sono particolari raccomandazioni da seguire. Tranne quella di rispettare sempre il livello corretto in ingresso sul convertitore / scheda audio. Tuttavia, abbiamo margine per trasformare un suono buono in partenza in qualcosa che abbia ancora più impatto. Mettiamoci all’opera e diamo quindi un’occhiata a una sessione di registrazione di synth al Lipstick Studio.
Registrare il synth: lo strumento in uso
In questa sessione, useremo un piccolo gioiello che è il cuore pulsante della maggior parte dei suoni sintetici delle mie produzioni. Sto parlando del Moog Mother-32, un sintetizzatore monofonico semi-modulare. “Semi-modulare” significa che per produrre suoni, inviluppi e modulazioni, non ha bisogno di alcun intervento esterno. Tuttavia, per accedere a funzioni “nascoste” – oppure per interagire con altra strumentazione – questo sintetizzatore possiede un ricco pannello di connessioni eurorack. Il che espande il divertimento oltre l’immaginazione. Ecco perché, nonostante questa macchina fornisca un solo oscillatore (VCO, Voltage Controlled Oscillator), c’è molto altro da scoprire. Utilizzando i cavetti, si possono usare altre sorgenti come oscillatori aggiuntivi o alternativi. Si può sfruttare allo scopo l’uscita dell’LFO (Low Frequency Oscillator) o quella della “resonance”, ottenendo un’onda sinusoidale, mandando in auto oscillazione il filtro. Senza menzionare neppure l’ottimo sequencer integrato, si capisce subito che qui il limite è la fantasia.
Gli effetti a pedale
Il segnale di synth, specie se monofonico, ben digerisce una manipolazione preliminare attraverso i pedalini effetto. Si possono sfruttare i pedalini per distorcere o saturare il suono, oppure per aggiungere effetti di fase. Spesso trovo utile utilizzare il Boss Super Chorus CH-1 o l’MXR Phase 90, uno dei phaser più famosi di sempre.
Suono e preamp: una scelta di gusto
Dopo aver creato il nostro suono con tutte le programmazioni e i pedali del caso, non resta che scegliere il preamp da utilizzare. Quasi senza pensarci, accendo l’API 512c. Questo preamp gestisce le frequenze medie – e l’enorme dinamica che riesce a rappresentare – in un modo che Mr. Moog gradisce particolarmente. Gran parte della texture di questo synth beneficia delle armoniche di questo preamp. Matrimonio perfetto. Qualche volta, comunque, quando cerco un suono più “rotondo” o controllato dinamicamente già in partenza, non disdegno di usare l’ingresso di linea del BAE 1073. Questo produce un suono decisamente complementare al 512c. Può essere utile l’alternanza tra i due anche quando voglio ottenere una naturale separazione tra più tracce di synth.
Registrare il synth: il livello di registrazione
Un suono di synth può avere un’escursione dinamica rilevante. Di certo non quanto gli strumenti acustici, sta di fatto però che può cambiare comunque la sua intensità in modo importante. Basti pensare agli effetti provocati da un filtro modulato quando innesca risonanze che – anche se ricercate – producono saltuari “colpi” di volume. La regola è sempre la stessa: cercare di aggirarsi intorno ai -18 dBFS in ingresso. Questo permette di avere headroom in quantità per poter gestire anche le note più forti, senza mai mandare il preamp in distorsione. Allo stesso tempo, in un dominio digitale di 24 bit, restiamo ben distanti dal rumore di fondo. Otteniamo quindi un rapporto S/N (Segnale Rumore) adatto a due scopi:
- registrare direttamente nella DAW (Digital Audio Workstation) senza litigare con i convertitori;
- ottimizzare il livello del segnale per le eventuali macchine che seguiranno la catena di registrazione.
Ed è proprio il secondo punto che al momento ci interessa. Lo dicevo nell’introduzione che non ci saremmo accontentati.
Sound shaping: il compressore
In linea generale, il compressore ci permette di controllare la dinamica. Su questo siamo tutti d’accordo. Ma qui volevo piuttosto concentrarmi sul sound design e il compressore può essere il nostro coltellino svizzero. A seconda del compressore in uso, infatti, possiamo ottenere due risultati distinti. Oppure sperimentarli contemporaneamente. Ecco cosa può fare un compressore.
- Aumentare la capacità dell’inviluppo del synth.
Certo, in modo diverso da come farebbe un envelope shaper, ma ottenendo risultati simili, si può infatti:- aumentare o diminuire l’attacco, particolarmente utile con suoni percussivi;
- restringere o allungare il sustain.
Per ottenere questi effetti, è importante disporre di un compressore che permetta di regolare il parametro che ci interessa (attacco, rilascio o entrambi). Nel caso specifico, se ho bisogno di un attacco estremamente veloce, utilizzo il dbx 560a, versione “serie 500” del famoso dbx 160a. Proprio il suo attacco caratteristico è un po’ la firma dei compressori VCA (Voltage Controlled Amplifier).
Nel caso in cui io abbia bisogno di più versatilità, allora utilizzo l’IGS Volfram Limiter, ispirato fortemente all’Urei 1176. Questo non si limita alla possibilità di regolare attacco e rilascio. Oltre a ereditare la ricercatissima pasta sonora del classico 1176, il Volfram fa di più. Permette infatti di miscelare a piacere la quantità di segnale processato a quello non processato. Mi trovo ad utilizzare questa feature più spesso di quanto sia disposto ad ammettere. Tecnicamente: compressione parallela.
- Aggiungere armoniche.
Grazie alla distorsione armonica si possono ottenere risultati piuttosto sorprendenti. Il suono diventa più ricco e interessante. La distorsione è prodotta da due fattori:- distorsione indotta dai parametri impostati di attacco e rilascio:
non è cosa nuova, ma impostare attacco e rilascio particolarmente veloci, produce un certo tipo di distorsione. Questa – spesso temuta da chi registra sorgenti acustiche – quando ci troviamo a registrare il synth, può essere fatalmente creativa. - distorsione indotta dall’architettura del compressore:
il tipo di tecnologia e i componenti utilizzati per riamplificare il segnale dopo aver subìto il processamento, producono diversi tipi di timbriche. Se il dbx 560a può risultare fin troppo pulito, saturare un comp 1176-like è una pratica piuttosto diffusa. Si tratta comunque della classica distorsione dei transistor. Molto diverso è il risultato quando entra nell’arena una macchina valvolare.
- distorsione indotta dai parametri impostati di attacco e rilascio:
Registrare il synth: l’equalizzatore
Se manipolare il suono controllando le componenti della dinamica può risultare un po’ ostico, equalizzare il suono è decisamente più facile. Nonostante in studio io possa disporre di più alternative valide (il già menzionato BAE 1073 o l’API 5500 fra tutti), la maggior parte delle volte utilizzo il Pulse Technique Pultec EQP-1S. Questo EQ valvolare permette di essere usato quasi come un enhancer. Qui ha la funzione di enfatizzare le caratteristiche migliori del suono che abbiamo costruito fino ad ora. La differenza che fa è enorme. Se potessi dare delle percentuali “qualitative” (difficile trovare delle parole adatte) al suono finale, quando la levetta è su OFF siamo al 60%, fino a sfondare il 100% quando la macchina è in funzione! Questo “fenomeno” è principalmente dovuto allo schema di amplificazione che il Pultec dispone, capace di abbellire qualsiasi segnale gli passi attraverso.
Finito? Si. Oppure no.
Ora siamo arrivati a un suono convincente, capace di “uscire fuori” dai nostri monitor. Potrei fermarmi qui. Ma poniamo il caso di voler spingere ancora più in là la possibilità di confezionare questo suono. C’è ancora spazio per utilizzare tools come l’Elysia Karacter 500, un modulo progettato per saturare, distorcere o brutalmente decomporre la sorgente. Inutile dilungarmi su impostazioni varie, perché tutto dipende dal risultato che si vuole ottenere e difficilmente è lo stesso su due lavori diversi. Nel caso in cui io voglia invece solo aggiungere una pasta densa al suono al quale sono arrivato, potrei anche utilizzare il Chandler Limited TG1 Limiter. Questo limiter/compressore ha infatti uno switch denominato “THD” che bypassa lo stadio di controllo della dinamica. Si può quindi sfruttare la sua capacità di saturare il suono in un modo unico, difficilmente riproducibile con altre apparecchiature (o plugins).
Tocco finale
Riverbero, delay e altri effetti di ritardo possono essere aggiunti per completare il suono. Di solito, mi affido alla versatilità del software. E’ evidente però che la nostra registrazione di synth è conclusa. Nel momento in cui varchiamo la soglia dell’analogico per entrare nel dominio digitale della nostra DAW si comincia un nuovo capitolo.
Se ti piace come lavoro, contattami per realizzare la tua produzione.